Climate change e questione di genere, la crisi climatica ha il volto di donna

 

Una prospettiva diffusa, anche se fortunatamente sempre meno presente, ci spinge a guardare, soprattutto in Occidente, alla crisi climatica e al riscaldamento globale come fenomeni lontani nel tempo e senza conseguenze tangibili nelle nostre vite. È una visione del tutto miope e falsa: basterebbe pensare alla tempesta Vaia che che alla fine del 2018 ha devastato in modo inaudito 42.500 ettari di foreste del Nord-est italiano (1) o alle alluvioni che hanno colpito Livoo nel 2017, portando alla morte di cinque persone (2).

Oggi tuttavia gli effetti più pesanti del cambiamento climatico stanno avvenendo nel Sud del mondo, i cui paesi sono anche i meno responsabili dell'effetto serra: è cronaca degli ultimi mesi, la tempesta di cavallette che sta mettendo in ginocchio molti paesi africani, mentre da tempo assistiamo a migrazioni forzate di popolazione connesse alla devastazioni ambientali e al riscaldamento globale: se nel 2016 si stima che su 31,1 milioni di sfollati oltre il 75% fossero causati dai cambiamenti climatici, le previsioni parlano di 70 milioni di profughi ambientali al 2030, cifra che secondo le stime accettate dall'IPCC triplicherebbe al 2050 (3); ma nonostante i dati  preoccupanti denunciati da più parti si tratta ancora di un tema che assai faticosamente entra nel dibattito pubblico.

Come mostrano questi esempi, in diverse aree del globo quali il Sud-est asiatico e l'Africa e orientale e meridionale, il riscaldamento globale sta causando una serie di reazioni a catena che hanno come effetti un aumento delle disuguaglianze sociali, della violenza e della povertà (4), di cui a far le spese soprattutto le donne: il cambiamento climatico in atto diviene così un driver dell'oppressione di genere, in forme come la violenza domestica, le aggressioni, gli stupri, la costrizione alla prostituzione e i matrimoni forzati.

È la tesi di uno studio pubblicato dalla Iucn (Inteational union for the conservation of nature)(5) basato su 80 casi di studio arricchiti dalle interviste alle donne locali: secondo la ricerca le donne già vulnerabili sono le prime ad essere vittime di soprusi e violenze nel momento in cui si verificano gli effetti del cambiamento climatico (ondate di calore, siccità, inondazioni e tempeste): il fenomeno si intensifica poiché le mansioni che in quelle società vengono da sempre delegate alle donne – come l’approvvigionamento di acqua e di legna da ardere - diventano impossibili da portare avanti quando le condizioni climatiche peggiorano, esponendole così sempre di più al rischio di subire violenze; sono ad esempio stati dimostrati abusi sessuali nella nell’Africa orientale e meridionale - dove i pescatori vendono il pescato alle donne solo se in cambio ottengono prestazioni sessuali – mentre in Colombia e Perù l'aumento della prostituzione è fortemente connesso con le estrazioni illegali di materie prime dalle miniere.

Ma se, oltre ad essere le prime vittime del cambiamento climatico, le donne fossero anche la possibile soluzione? È quello che ha sostenuto Katharine Wilkinson alla conferenza TEDWomen del 2018(6), spiegando come l’uguaglianza di genere e l'inserimento delle donne nelle dinamiche dell’economia e della società cambierebbero non solo la loro condizione di vita, ma sarebbero anche una risposta alla questione del riscaldamento globale. 

Il primo punto che la relatrice ha toccato è l'accesso alla risorse, meno disponibili per le donne che coltivano a parità di terreno un quantitativo minore degli uomini, sebbene fino all'80% del cibo nei paesi a basso reddito sia prodotto da loro; se dunque il divario di genere venisse eliminato, le donne potrebbero accedere alla risorse e si avrebbe così un aumento della produzione del 30% in più, evitando i disboscamenti di alcune aree e di conseguenza un calo fino a due miliardi di tonnellate di emissioni entro il 2050.

Ma Katharine Wilkinson proseguendo ha anche mostrato la correlazione fra un maggiore diffusione dell'istruzione tra le donne – che le rende consapevoli e padrone del proprio corpo - con il controllo delle nascite dovuto a una giusta prevenzione e educazione; cambiamenti culturali significativi che comporterebbero una diminuzione della crescita della popolazione e dunque un beneficio per l'ambiente grazie alla riduzione di consumi, produzione di cibo, trasporti e consumo di suolo. Non a caso il quinto obiettivo sostenibili dell'Agenda 2030 dell'ONU (7) è proprio quello di aumentare l'empowerment delle donne per migliorae le condizioni e raggiungere la parità di genere.

Per affrontare la sfide dei prossimi decenni, sarà infatti necessario toare a una prospettiva ecosistemica, quella che il tema dell'accesso femminile alla risorse ha mostrato con chiarezza: la stessa visione che Legambiente porta avanti in particolare nelle Gioate dell'interdipendenza, mostrando l'interconnessione tra uomini, donne e natura, tra convivenza e necessaria conversione ecologica.

Temi che il circolo Alex Langer – fin dal nome – porta avanti grazie il terzo tempo di “Ambientamoci” e grazie ad Involve, un progetto europeo, che è iniziato con il Bo.ro.fra Festival grazie al coinvolgimento di decine di giovani volontari e che - una volta finita questa emergenza - ripartirà nelle scuole superiori del territorio, concentrandosi sulle seconde generazioni.

Caterina Nale – VSC Legambiente Rovigo

 

(1) Cfr. Fabi Dessì, Dopo Vaia, “La Nuova Ecologia” 
(2) Nubifragio a Livoo, i cambiamenti climatici sul banco degli imputati 
(3) Cfr. Profughi Ambientali. Cambiamento climatico e migrazioni forzate, a cura di Legambiente
(4) Per approfondire segnaliamo Grammenos Mastrojeni e Antonello Pasini, Effetto serra effetto guerra, Chiarelettere, 2017
(5) I cambiamenti climatici tra le cause dirette dell’aumento della violenza di genere 
(6) Perché genere e clima sono connessi 
(7) https://unric.org/it/obiettivo-5-raggiungere-luguaglianza-di-genere-ed-emancipare-tutte-le-donne-e-le-ragazze/


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